Ah, è arrivata la Befana che spazza via le feste e l’anno vecchio, invitandoci a fare altrettanto con le nostre vecchie abitudini!
Chiudiamo il 2013, almeno in Facebook, con le stesse identiche statistiche di sempre:
Le Befane sono in stramaggioranza!
Siamo quindi soprattutto colleghe, anche se parliamo sempre di colleghi perché così ce lo impongono le regole della lingua italiana.
Nel 2013 ho dovuto riflettere parecchio sul significato che la parola “colleghi” ha per me. Come tutti, ho il difetto di riflettere su certe cose solo quando fanno nascere problemi, e spesso mi rendo conto solo allora che fino a quel giorno davo per scontato un mucchio di cose.
Ha girato e sta girando in rete e in Facebook un articolo – uno dei tanti – che avverte contro le conseguenze collettive della decisione, presa da singoli, di lavorare gratis (aggiungiamoci anche il pressoché gratis).
L’articolo, dal titolo “La generazione lavoro gratis per avere una vetrina” non è scritto da una traduttrice, bensì da una giornalista medico. E quando l’ho condiviso, neanche l’avevo letto. Perché l’argomento, per me, era chiuso da anni.
Per anni ho dato per scontato che tutti quanti abbiamo la stessa idea di cosa significa essere colleghi. Anche se sono ugualmente anni che vedo e sento presunti colleghi difendere ad alta voce comportamenti propri che sono, secondo me, palesemente non collegiali. Comportamenti non etici quindi, poiché vengono attuati in un ambito in cui ogni gesto del singolo ha inevitabilmente ripercussioni sull’immagine collettiva che hanno i clienti dell’intera categoria professionale. Ho smesso, anni fa, insieme ad altri, di spiegare questo mio punto di vista. Che non è per niente il mio punto di vista personale, e lo dimostra l’esistenza dei codici etici, formulati proprio per questo motivo. Da secoli. Anche dai traduttori.
Il ragionamento che secondo me devi fare quando sei il collega di altri mi sembra di una semplicità unica: con la mia attività professionale, cioè con quello che so fare (e che per fortuna mi piace), devo poter guadagnare il mio pane quotidiano, esattamente come devono poterselo guadagnare tutti gli altri colleghi. I miei clienti, a loro volta, guadagnano il loro pane quotidiano grazie al mio lavoro. Tuttavia, i miei clienti sono anche, nessuno escluso, i potenziali clienti di tutti i miei colleghi. Di conseguenza, se io mi metto a regalare il mio lavoro, e convinco altri a fare altrettanto, metto in moto un meccanismo che a lungo andare costringerebbe tutti i miei colleghi a regalare anche il loro lavoro. Anni fa dicevamo, a chi difendeva la propria decisione di lavorare gratis perché era l’unico modo per entrare nel mercato, che prima o poi ci sarebbe tornata la zappa sui piedi. Oggi la zappa è arrivata, e non è quella di una nuova generazione: è la nostra.
Come le scatole cinesi, il ragionamento qui sopra ne contiene un altro che davo altrettanto per scontato e che riguarda il concetto di mercato: se lavori, ti fai pagare, indipendentemente dal fatto che lavori per passare il tempo, arrotondare lo stipendio, iniziare una carriera da autonomo, realizzare un tuo sogno, per prima, seconda o terza occupazione. Se ti fai pagare fai automaticamente parte di un mercato, e questo mercato siamo tutti noi. Ma anche se decidi di non farti pagare, ti muovi sempre nello stesso identico mercato. Il mercato infatti altro non è se non quel luogo in cui si incontrano delle persone che hanno bisogno dei nostri servizi per poter guadagnare a loro volta e, di conseguenza, far guadagnare noi che quel servizio siamo capaci di offrirlo.
Ecco, secondo me, comprendere il significato delle parole collega e mercato è decisamente la prima cosa da fare obbligatoriamente quando inizi a pensare di voler diventare traduttore, o quando lo sei già e devi prendere le tue decisioni professionali. Non diventi solo un traduttore. Diventando traduttore, diventi automaticamente e inevitabilmente il collega di altri traduttori che si muovono in un mercato, che per definizione è il luogo dove tutti quanti dobbiamo guadagnare il nostro pane quotidiano, a prescindere dal tipo di testi che traduciamo e a prescindere dal tipo di clienti con cui ci relazioniamo.
Ovviamente dà grande soddisfazione potersi fregiare del titolo di collega, ma quel titolo, non dimentichiamolo mai, implica tanto vantaggi quanto doveri e responsabilità che sei tenuto ad assumerti nei confronti di coloro di cui sei diventato/vuoi diventare/sei già collega.
Diventando traduttore, di qualunque tipo, entri in un gruppo, in una collettività, in una categoria professionale. Questa, per poter continuare ad esistere e a garantire il pane quotidiano ai suoi membri, non può permettere agli stessi di fare delle cose che le tolgano valore e incidano sulla sua immagine pubblica di fronte a chi, sul mercato, valuta i servizi che offre e ne usufruisce. A me, come singolo individuo, non è dunque permesso di fare delle cose, nell’ambito del mio lavoro, che possano danneggiare, a lungo o breve termine, i miei colleghi. Ho il dovere, rispetto alla collettività di cui entro a far parte, di mettere da parte i miei soli vantaggi personali e riflettere bene sulle conseguenze delle mie decisioni e azioni per l’intera collettività e la professione stessa.
È chiaro che per costruirsi una vetrina è anche possibile ricorrere a uno scambio senza passaggio di denaro, lo faccio anche io. Purché a quei soldi rinuncino entrambe le parti. E purché i vantaggi soddisfino ognuna delle parti in egual misura. Nel nostro caso possiamo per esempio proporre, a chi ha scritto un articolo, di tradurlo: noi mettiamo nella nostra vetrina la nostra traduzione e il suo nome, lui espone nella sua il nostro nome e un link alla nostra traduzione. Se non è possibile questo, si trova un altro tipo di scambio equo. Tuttavia non bisogna dimenticare mai, nel caso specifico, che se tu esponi la tua traduzione, devi anche essere in grado di garantire all’autore che con la tua traduzione fai fare bella figura anche al suo testo.
Il mio sito, Italia Magia, genera regolarmente proposte di scambio, la maggior parte delle quali mi insegna che, se la gente usasse per i propri affari la stessa quantità di fantasia che impiega per imbrogliare gli altri, oggi non staremmo qui a parlare del fenomeno “lavorare gratis” e di “collegialità” o di “etica e morale professionale” come se fossero un problema.
Visto che il mio sito si rivolge agli appassionati dell’Italia, solitamente chi mi contatta sono i tour operator. Iniziano dandomi subito del tu, cantando le lodi del mio sito: “Ma quanto sono interessanti i tuoi articoli sulla Spagna!” (sic!). Proseguono poi con: “Ci piacerebbe proporti uno scambio. Noi scriviamo un articolo per te e tu lo pubblichi sul tuo sito.” “Siamo certi che apprezzerai, in fondo non dovrai fare nulla.”
Tradotto: Questo non vuole pagare lo spazio pubblicitario che altrove paga centinaia di euro. Vediamo il testo che ha allegato. Apro, chiudo e rispondo:
“Caro X. Il mio mestiere è scrivere. I miei clienti, ovvero altri tour operator, pagano profumatamente per ricevere da me dei testi da pubblicare sui loro siti o nelle loro brochure. Mi pagano perché scrivo per loro dei testi capaci di convincere i loro clienti a prenotare istantaneamente un viaggio. Nel Suo caso, a scrivere l’articolo ci ha già pensato Lei. Se io avessi un interesse particolare per la Sua azienda, potrei pure considerare la possibilità di regalarLe uno spazio pubblicitario sul mio sito sotto forma di un Suo articolo. Purtroppo, tuttavia, non posso permettermi, né gratuitamente, né a pagamento, di esporre nella mia vetrina di scrittrice e traduttrice un testo come quello che Lei mi ha allegato, che per quanto mi riguarda non può finire neanche nel giornalino della scuola media di mio figlio. Nel caso fosse interessato a conoscere sia il prezzo di un articolo scritto da me, sia quello di uno spazio pubblicitario sul mio sito per un articolo scritto in modo professionale, sarò lieta di fornirLe tutti i dati del caso. Se la Sua azienda è invece interessata a uno scambio di pubblicazioni professionali e di link, ricevo e valuto volentieri proposte in tal senso.”
Ecco, perfino sulla parola scambio bisogna riflettere bene. Sia prima di proporlo, sia prima di accettarlo.
Oggi la Befana spazza via le feste e con esse un periodo in cui, invece di lavorare e riflettere, abbiamo dato precedenza all’ozio, alle coccole famigliari e al riposo. Da domani inizio di nuovo a lavorare. E come me anche voi, miei numerosi colleghi. Tentiamo tutti, quest’anno, di lavorare con un pensiero rivolto anche ai nostri colleghi, pur continuando a lavorare ognuno per conto proprio.
Frauke&Stefano
PS1 Ringrazio la collega Alice De Carli Enrico per la sua paziente rilettura e revisione.
PS2 La Befanina e la foto appartengono a Stefania La Rosa (specializzata in giapponese – stefanialarosa@libero.it) che ringrazio di cuore per il suo umorismo e per l’ispirazione!